Fideiussione – Per obbligazioni future o condizionali – Dispensa preventiva
dall’autorizzazione per nuove concessioni di credito in favore del debitore
principale – Validità – Limiti – Principi di correttezza e buona fede –
Fattispecie – Obbligazioni e contratti – Nullità del contratto ed azione
relativa – Rilevabilità d’ufficio – Commissioni di massimo scoperto
Cassazione civile, SEZIONE III, 6 agosto
2002, n. 11772
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vito GIUSTINIANI - Presidente -
Dott. Paolo VITTORIA - Consigliere -
Dott. Luigi Francesco DI NANNI - Consigliere -
Dott. Antonio SEGRETO - Consigliere -
Dott. Maria Margherita CHIARINI - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso,proposto da:
BANCA DI SICILIA SPA, in persona del Dr. Benedetto Viola, legale
rappresentante quale titolare pro - tempore della Filiale Capozona di
Bagheria, domiciliato in ROMA presso LA CANCELLERIA CORTE DI
CASSAZIONE difeso dall'avvocato SALVATORE MELI, con studio in 90141
PALERMO VIA MARCHESE UGO, 56, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
MANCA FRANCO;
- intimato -
avverso la sentenza n. 203-99 della Corte d'Appello di PALERMO, SEZ.
PROMISCUA CIVILE emessa il 4-12-1998, depositata il 08-03-99;
RG.34-97,
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
16-11-01 dal Consigliere Dott. Maria Margherita CHIARINI;
udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.
Vincenzo MACCARONE che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
Il Presidente del Tribunale di Palermo, in data
19.4.1989, emetteva a favore della s.p.a. Banca del Sud decreto ingiuntivo
immediatamente esecutivo nei confronti della s.n.c. "Confezioni Maglierie
Bigiesse di Renato Maria Grazia e G.S.", debitrice principale, e delle sue socie
e fideiubenti Scardina Elge Maria, Giordano Filippa e Benato Maria Grazia,
nonché di Scardina Giorgio;
Bonatti Ines e Franco Manca, ingiungendo loro di
pagare, in solido, la somma di L. 399.318.375 - oltre agli interessi moratori
nella misura del 17% annuo e ai diritti di commissione, nella misura dello
0,125% trimestrale, entrambi da capitalizzare trimestralmente - dovuta per saldo
debitore del c-c intestato alla predetta società, intrattenuto con la ricorrente
e garantito dai suddetti fideiussori con distinti atti, stipulati tra il
1.9.1983 e il 5.XII.1983.
Si opponeva Franco Manca deducendo di aver prestato
fideiussione in favore della società di fatto "Confezioni Maglieria di Benato
Maria Grazia e G.S." e non della "s.n.c. Confezioni Maglierie Bigiesse di Benato
Maria Grazia e G.S.", titolare del conto su cui era fondata la pretesa
creditoria della banca; contestava inoltre sia il tasso del 17% annuo degli
interessi che, capitalizzati trimestralmente, ammontavano al 29% annuo, sia la
commissione trimestrale, non più dovuta dopo la chiusura del conto e la
richiesta della banca di pagamento dell'intero debito alla debitrice principale
(1.4.89).
La Banca chiedeva il rigetto dell'opposizione.
Con sentenza del
23.5.1996 il Tribunale rigettava l'opposizione sulla considerazione che la
trasformazione di una società non dà luogo ad un nuovo ente, ma soltanto a una
modifica formale della sua organizzazione, che rimane sostanzialmente identica
se persiste l'identità dell'impresa, ed affermava che la trasformazione della
Confezioni Maglieria da società di fatto a s.n.c. e quindi a s.r.l., senza
modificare l'oggetto sociale, non comportava modificazione soggettiva del
rapporto debitorio con la Banca del Sud, tale da determinare la cessazione
dell'obbligazione fideiussoria. Ritenuta quindi la validità della fideiussione
omnibus, escludeva che la banca avesse violato i doveri di correttezza e
buonafede nell'esecuzione del contratto.
Appellava Franco Manca lamentando:
a) la violazione dei principi di buonafede e correttezza di cui agli artt. 1175
e 1375 c.c, da parte della banca; b) la mancanza di prova sulla corrispondenza
degli interessi praticati e richiesti alla misura di quelli di piazza; c) la non
debenza delle commissioni di massimo scoperto e degli accessori anche dopo la
cessazione del rapporto di conto corrente perché, non essendovi più prestazioni
della banca, che peraltro continuava a percepire gli interessi sul capitale,
costituivano un corrispettivo privo di causa.
La Corte di appello di Palermo,
con sentenza dell'8 marzo 1999, "in accoglimento parziale del gravame, revocava
il decreto opposto e condannava Franco Manca a pagare la minor somma di L.
98.408.249, corrispondente al saldo passivo al 31 dicembre 1987, oltre agli
interessi nella misura legale, commissioni e accessori fino al 6 ottobre 1987,
data della trasformazione della società in nome collettivo in società a
responsabilità limitata.
Premetteva la Corte, in fatto, che il 30.X.1978 tra
Scardina Elge Maria, Giordano Filippa e Benato Maria Grazia venne costituita una
società di fatto, denominata "Confezioni Maglieria di Benato Maria Grazia e
G.S.", iscritta all'albo delle imprese artigiane, avente ad oggetto la
produzione e commercializzazione di maglieria, con capitale sociale di L.
3.500.000. Il 5.XII.1983 detta società stipulò con la Banca del Sud un contratto
di conto corrente di corrispondenza e nella stessa data Franco Manca, marito
della Scardina - da cui si separò nel maggio 1987 e divorziò nel 1990 - Scardina
Giorgio e le tre socie innanzi nominate rilasciarono a favore della banca
distinte fideiussioni con cui si impegnarono a garantire quanto dovuto dalla
summenzionata società di fatto per capitale, interessi, accessori e spese,
dispensando la banca dall'onere di agire entro i termini di cui all'art. 1957 e
di proporre preliminarmente le sue istanze contro il debitore garantito e gli
eventuali coobbligati. In data 28.XII.84 le tre socie, lasciando inalterato il
capitale sociale dì L. 3.500.000, si trasformarono in società in nome
collettivo; quindi, con atto pubblico del 6 ottobre 1987, trasformarono la
società di persone in s.r.l. sotto la denominazione di Bigiesse, aumentando il
capitale a L. 20.000.000.
Tanto premesso, la Corte affermava in diritto: a)
la fideiussione rilasciata nel 1983 dal Manca era da qualificare omnibus il cui
oggetto, secondo la giurisprudenza consolidata, era determinabile per relationem,
ed era perciò valida, non essendo applicabile l'art. 10 della legge 154-1992,
che, modificando gli artt. 1938 e 1956 c.c., ha reso obbligatoria la
determinazione dell'importo massimo per cui è prestata garanzia ed ha invalidato
la preventiva rinunzia del fideiussore ad avvalersi della liberazione del suo
obbligo se è concesso, senza la sua speciale autorizzazione, ulteriore credito
al debitore principale pur conoscendone le precarie condizioni economiche; b)
l'art. 1957 c.c. non era stato violato perché il Manca aveva espressamente
dispensato la banca dal coltivare le azioni nei confronti del debitore
principale; c) era invece fondata la doglianza concernente l'aggravamento del
rischio del fideiussore per la trasformazione della società di fatto dapprima in
s.n.c., e soprattutto poi in s.r.l., in cui non vi era più corresponsabilità
personale dei soci, che riduceva il rischio del garante; d) dagli estratti conto
acquisiti risultava la violazione dell'obbligo della banca di comportarsi
secondo correttezza e buonafede, costituente il limite della validità della
fideiussione omnibus, perché il Manca aveva garantito una società di fatto con
capitale di L. 3.500.000, formata da tre persone, che rispondevano solidalmente
ed illimitatamente con il loro patrimonio delle obbligazioni contratte con i
terzi, tra cui la banca, mentre l'esposizione debitoria della s.r.l., con un
capitale sociale di L. 20.000.000, aveva superato i 400.000.000, e tra l'altro
non vi era neppure prova che il fideiussore conoscesse le avvenute
trasformazioni societarie, che, se non rilevavano nei rapporti tra banca e
debitore principale, erano però rilevanti nei rapporti tra tali soggetti e il
fideiussore; e) pertanto, pur senza applicare in via analogica alla fideiussione
l'art. 2499 c.c. che, nel caso di trasformazione di società di persone in
società di capitali, limita la corresponsabilità solidale dei soci alle
obbligazioni sociali anteriori, era comunque da applicare l'art. 1956 c.c.,
nella formulazione previgente alla legge 154-1992, a norma del quale il
fideiussore è liberato dalle obbligazioni future se il creditore, senza chiedere
la sua autorizzazione, abbia continuato a far credito al terzo pur nella
consapevolezza delle difficoltà di questi ad adempiere al suo debito; perciò il
Manca non doveva rispondere dei debiti successivi alla trasformazione della
società in nome collettivo in società a responsabilità limitata, essendo provato
l'aumento dell'esposizione debitoria della Confezioni Maglierie in concomitanza
dapprima con la trasformazione in s.n.c. e quindi con quella in s.r.l., dai
saldaconti passivi, passati dai 7-8 milioni finché era società di fatto a punte
di 46 milioni allorché era divenuta s.n.c., a 98 milioni a dicembre 1987 - e
cioè dopo due mesi dalla trasformazione in società di capitali - aumentati nel
trimestre successivo a 205.000.000 e quindi a 293 milioni nel settembre 1988,
fino ad arrivare a 378 milioni al 31.3.89, data in cui la banca aveva revocato
l'apertura di credito ed invitato il debitore principale e i fideiussori
all'immediato rientro; il tutto senza peraltro provare l'aumento di fido,
malgrado affermato come avvenuto nel 1980, e comunque senza adottare alcun
accorgimento per cautelare i fideiussori; f) pertanto era provata la violazione
degli obblighi di correttezza e buonafede da parte della banca, non giustificata
dall'esser stato il Manca marito della Scardina, e in quanto tale sia gravato di
un onere di informazione delle condizioni economiche della società maggiore del
dovere della banca di tenere sotto controllo il ricorso al credito della sua
cliente - dalla quale peraltro quegli si era separato prima della trasformazione
dalla società in s.r.l.- stante soprattutto la diversa possibilità di dette
parti di conoscere le condizioni economiche della debitrice principale, e la
possibilità della banca, per la sua posizione dominante, di incidere sul
comportamento del debitore. Nè la banca poteva ritenersi affrancata dai suoi
obblighi per essersi il Manca assunto l'onere del controllo delle condizioni del
debitore principale, dispensandola dall'onere di espressa autorizzazione a far
credito al terzo nel caso di peggioramento delle condizioni economiche, perché
il limite di tale clausola era costituito dall'obbligo dell'esecuzione del
contratto di fideiussione secondo buona fede, a sensi dell'art. 1375 c.c., da
interpretare come impegno di cooperazione e salvaguardia degli interessi di
controparte; g) conseguentemente la fideiussione prestata dal Manca era efficace
e valida soltanto fino al 31.XII.87, alla cui data il debito capitale ammontava
a L. 98.408.249; h) non erano riconoscibili gli interessi bancari al
tasso ultralegale del 17% non essendo sufficiente per la determinabilità della
relativa misura il rinvio "alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di
credito sulla piazza" contenuto nella clausola n. 7 del contratto di c-c, in
assenza di discipline vincolanti fissate su scala nazionale con accordi di
cartello univoci e non invece generici e riferiti a diverse tipologie di tassi;
pertanto gli interessi erano da corrispondere nella misura legale, mentre le
commissioni sul massimo scoperto e gli accessori - non quantificati - del
credito garantito erano riconoscibili sul predetto importo capitale e fino al 6
ottobre 1987, data in cui la fideiussione era divenuta inefficace.
Avverso
questa sentenza ricorre con tre motivi la s.p.a. Banca di Sicilia, in cui si è
fusa per incorporazione la s.p.a. Banca del Sud.
Diritto
1. Con il primo, articolato motivo, la ricorrente deduce
erronea applicazione dell'art. 1956 cod. civ. e violazione dell'art. 360 n. 5
c.p.c.
La Corte di merito, nell'affermare che le condizioni patrimoniali
della Bigiesse s.n.c., sussistenti al momento in cui il Manca aveva prestato la
propria fideiussione, erano peggiorate dopo la trasformazione della stessa in
s.r.l., e cioè dopo che era venuto meno la corresponsabilità illimitata delle
socie, che riduceva il rischio di esposizione del garante, non aveva considerato
che in base all'art. 2498 c.c. la trasformazione di una società di persone in
una di capitali, anche se la relativa delibera è omologata, ha effetto soltanto
dal momento dell'iscrizione nel registro delle imprese, ma di tale formalità
mancava la prova agli atti. È quindi ragionevole supporre che gli interessati
non l'abbiano attuata, e perciò essa banca non ne era venuta a conoscenza,
tant'è vero che nell'aprile 1989 aveva avviato il procedimento monitorio nei
confronti della Bigiasse s.n.c.. Inoltre la Corte aveva trascurato di valutare
che, anche dopo tale eventuale trasformazione - non sintomatica in sè di un
disagio economico - le socie, nella qualità di fideiubenti, erano riamaste
responsabili come prima ed anzi, mentre come socie della società in nome
collettivo potevano invocare il beneficium excussionis, ai sensi dell'art. 2304
cod. civ., come fideiubenti no, e pertanto il Manca non aveva subito alcun
pregiudizio. D'altra parte non vi era neppure la prova che il peggioramento
economico della società si fosse verificato per il venir meno della
responsabilità patrimoniale delle socie, perché anzi la costituzione di un
patrimonio autonomo della società poteva costituire ulteriore garanzia per il
creditore.
Ad ogni modo il legislatore prevede la liberazione del fideiussore
se il creditore conosce le difficoltà del debitore principale e non se avrebbe
potuto conoscerle, come ipotizzato dalla Corte di Appello, senza nemmeno tener
conto della prassi bancaria di consentire al correntista di utilizzare il
credito anche oltre il tetto concordato, se la banca ha fiducia nel cliente, e a
saldi passivi si alternano poste attive, ed ha invece ravvisato in tale
comportamento la prova della collaborazione di essa banca con il debitore
principale nell'abuso del credito in danno del garante.
Invece questi si era
obbligato a tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali della debitrice ed
in particolare ad informarsi dei suoi rapporti con la banca, che aveva
dispensato dall'onere di richiedergli l'autorizzazione di cui all'art. 1956 c.c.
per concedere altro credito. Spettava pertanto al fideiussore l'onere di
dimostrare la malafede della banca, che non era stato assolto, nè ili era
receduto dal rapporto di fideiussione, malgrado la separazione da sua moglie nel
1987, con la quale perciò evidentemente aveva mantenuto comunione di interessi.
Il motivo è infondato.
La questione concernente la mancata iscrizione nel
registro delle imprese della delibera omologata di trasformazione della
Confezioni Maglierie Bigiesse da società in nome collettivo a società a
responsabilità limitata, con conseguente mancato acquisto da parte della
medesima della personalità giuridica, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2948
cod. civ., non è stata trattata in appello, essendosi la s.p.a. Banca del Sud
limitata ad affermare, in comparsa di risposta, di non aver avuto, conoscenza
della predetta trasformazione. Pertanto è inammissibile perché nuova, con la
conseguenza che tutte le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello sulla
diversità del soggetto garantito dal Manca e sull'aggravamento del rischio
rispetto a quello assuntosi al momento della prestazione della garanzia devono
essere tenute ferme, essendo immuni da vizi logici e giuridici.
Quanto
all'interpretazione dell'art. 1956 cod. civ., nella formulazione previgente alla
modifica apportata dalla legge 17 febbraio 1992 n. 154, la Corte di Appello ha
applicato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, avviato a partire
dalla sentenza di questa Corte del 18 luglio 1989 n. 3362 e poi consolidatosi,
secondo il quale la validità della clausola con cui il fideiussore dispensava la
banca dall'onere di richiedergli apposita autorizzazione in caso di nuova
concessione di credito al debitore garantito, le cui condizioni patrimoniali
fossero divenute tali da rendere notevolmente difficile il soddisfacimento del
credito da parte del medesimo, e la conseguente validità della rinuncia
preventiva del garante ad avvalersi della liberazione del suo obbligo prevista
dalla predetta norma, era limitata dal dovere della banca di eseguire il
contratto di fideiussione secondo buonafede e correttezza, usando l'ordinaria
diligenza, rapportata alle sue qualità professionali (Cass. 3385-1989; Cass.
9936-1993).
La stessa giurisprudenza chiariva poi il contenuto di tali
obblighi specificando che il creditore non deve concedere ulteriore credito se,
raffrontando l'esposizione debitoria esistente alla data della prestata
fideiussione con quello esistente al momento della richiesta del debitore di
aumento del credito, il divario è tale da dover fondatamente tenere l'insolvenza
del debitore.
Da questi principi la Corte non intende discostarsi, e quindi
anche la prassi bancaria, invocata dalla ricorrente, di superare il tetto di
apertura di credito originariamente stabilito - e per il quale era stata
prestata la garanzia - in base al potere discrezionale del creditore di
sovvenire il debitore, non può però esimerlo dall'osservanza dei doveri dianzi
indicati, e consentirgli di esporre il fideiussore ad imprevedibili dilatazioni
del rischio inizialmente assunto, contando proprio sull'esistenza del patrimonio
di questi per soddisfare le sue ragioni creditorie, senza rispettare i criteri
di buona tecnica creditizia che invece normalmente avrebbe osservato se non
fosse stata prestata la garanzia fideiussoria, e trascurando di considerare che
la relazione di accessorietà della fideiussione con il debito garantito, deve
indurre il creditore a fare affidamento innanzitutto sul patrimonio
dell'obbligato principale (Cass. 5872-1999).
E poiché nella fattispecie la
Corte di Appello ha evidenziato che a fronte di un mandamento del conto corrente
alternato fino al 1985 tra rimesse attive e poste passive, non superiori a 7-8
milioni, da tale data in poi le condizioni della s.n.c. - così trasformatasi dal
28.XII.1984 l'originaria società di fatto tra la Scardina, la Giordano e la
Benato - cominciarono a peggiorare, essendo il conto quasi sempre passivo, con
sconfinamento anche oltre quarantasei milioni (al 31.XII.1985), a fronte di un
capitale sociale inalterato rispetto a quello iniziale (pari a L. 3.500.000),
mentre dal 31.XII.87 - ossia dopo due mesi della avvenuta trasformazione in
società di capitali - precipitarono progressivamente nel giro di quindici mesi,
raggiungendo nel 1988 un'esposizione di 308 milioni, fino ad arrivare agli inizi
del 1989 a 378 milioni, le censure della ricorrente di erronea interpretazione
dell'art. 1956 cod. civ. e di vizi di motivazione, sono infondate.
Quanto
infine alla persistenza della responsabilità patrimoniale personale delle
sunnominate tre socie in quanto confideiussori con il Manca della società
Bigiesse, la circostanza è del tutto inconferente perché per la liberazione del
fideiussore ciò che rileva è la concessione al debitore di ulteriore credito
malgrado la conoscenza - desumibile nella specie dall'andamento del conto -
delle sue peggiorate condizioni economiche.
2. Con il secondo motivo la Banca
formula due censure.
La prima attiene all'esclusione, da parte dei giudici di
appello, dell'obbligo del Manca di pagare, durante la mora successiva alla
chiusura del conto, i diritti di commissione sul massimo scoperto, chiesti nella
misura dello 0,125% al trimestre; la seconda all'omessa pronuncia sulla
capitalizzazione trimestrale degli interessi e di tali diritti, domande accolte
con il decreto ingiuntivo.
In tal modo i giudici di secondo grado hanno
violato l'art. 360 n. 5 c.p.c. avendo omesso di spiegare perché non sarebbe
dovuta la c. d. provvigione di conto durante la mora, costituendo la medesima un
corrispettivo autonomo rispetto agli interessi, che trova giustificazione
nell'obbligo della banca di tenere a disposizione del cliente una certa somma,
tanto più proprio dopo la chiusura del conto, se la somma non viene restituita.
La Corte, avendo poi omesso di pronunciarsi sulla capitalizzazione trimestrale
degli interessi, ottenuta in sede monitoria, ha violato sia l'art. 360 n. 4
c.p.c. in relazione all'art. 112 c.p.c., sia l'art. 360 n. 5 c.p.c., non avendo
spiegato perché non si è pronunciata o comunque ha rigettato la relativa
domanda, pur non essendovi stata contestazione. In ogni caso la decisione è
erronea perché le clausole di anatocismo contenute nei
contratti bancari sono state, sia pur temporaneamente, ritenute
efficaci dall'art. 25 DLGS 342-1999 - che modifica in parte anche l'art. 120
DLGS 385-1993 - almeno fino alla data della delibera del C.I.C.R., tuttora non
emanata.
Il motivo è infondato.
La prima censura, concernente il capo
della sentenza di appello con il quale la commissione sul massimo scoperto è
stata riconosciuta soltanto fino alla data di efficacia della garanzia
fideiussoria - e cioè fino al 6 ottobre 1987, sull'esposizione debitoria allora
risultante, pari a L. 98.408.249 - e senza capitalizzazione trimestrale, è da
respingere.
Ed infatti o tale commissione è un accessorio che si aggiunge
agli interessi passivi - come potrebbe inferirsi anche dall'esser conteggiata,
nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell'esposizione debitoria
massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo
considerato - che solitamente è trimestrale - e dalla pattuizione della sua
capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi passivi - ed è il caso di
specie - o ha una funzione remunerativa dell'obbligo della banca di tenere a
disposizione dell'accreditato una determina somma per un determinato periodo di
tempo, indipendentemente dal suo utilizzo - ed è questa la tesi della ricorrente
- come sembra preferibile ritenere anche alla luce della circolare della Banca
d'Italia del primo ottobre 1996 e delle successive rilevazioni del c. d. tasso
di soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto
non deve esser computata ai fini della rilevazione dell'interesse globale di cui
alla legge 7 marzo 1996 n. 108, ed allora dovrebbe esser conteggiata alla
chiusura definitiva del conto.
Nell'un caso e nell'altro non è comunque
dovuta la capitalizzazione trimestrale perché, se la natura della commissione di
massimo scoperto è assimilabile a quella degli interessi passivi, le clausole
anatocistiche, pattuite nel regime anteriore all'entrata in vigore della legge
154-1992, sono nulle secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, come
tra poco sarà evidenziato; se invece è un corrispettivo autonomo dagli
interessi, non è ad esso estensibile la disciplina dell'anatocismo, prevista
dall'art. 1283 cod. civ. espressamente per gli interessi scaduti.
Quindi,
premesso che la Corte di appello ha correttamente, per le ragioni innanzi
svolte, ritenuto efficace la garanzia personale del Manca soltanto fino alla
data corrispondente a quella in cui la società garantita si è trasformata in
società di capitali, sì che l'ulteriore prosecuzione del rapporto fino alla
revoca del fido, avvenuta il 31 marzo 1989, non gli è opponibile, altrettanto
correttamente ha statuito il suo obbligo di corrispondere la commissione di
massimo scoperto sul saldo passivo risultante a detta data.
Quanto poi alla
seconda censura, concernente la non riconosciuta capitalizzazione trimestrale
sia di tale commissione, sia degli interessi passivi, è anch'essa infondata.
Ed infatti l'orientamento giurisprudenziale di legittimità che per circa un
ventennio (Cass. 6631-1981; 5409-1983; 4920-1987; 3804-1988; 2644-1989;
7571-1992; 9227-1995; 3296-1997; 12675-1998) ha inquadrato la capitalizzazione
trimestrale degli interessi a debito del cliente, prevista dalle norme bancarie
uniformi, tra gli usi normativi contrari contemplati dall'art. 1283 cod. civ.
quale espressa eccezione al generale principio ivi affermato, secondo il quale
gli interessi scaduti possono produrre interessi soltanto dal giorno della
domanda o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che
si tratti di interessi dovuti da almeno sei mesi, è stato recentemente
abbandonato a decorrere dalla sentenza 2374-1999 di questa Corte, i cui principi
sono stati ribaditi da Cass. 3096-1999 e 12507-1999, che hanno escluso la natura
normativa delle c. d. norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI, affermandone
la natura pattizia della corrispondente clausola, perciò valida nei rapporti tra
banca e cliente nei limiti previsti dalla regola generale.
Deve quindi
riaffermarsi, per le ampie e pienamente condivisibili argomentazioni contenute
nelle sentenze da ultimo citate, che la clausola inserita nel modulo
contrattuale predisposto dalla banca che prevede, anteriormente alla loro
scadenza, la capitalizzazione trimestrale dei soli interessi passivi è nulla,
anche per il fideiussore, ai sensi dell'art. 1939 cod. civ..
In merito poi
all'osservazione della ricorrente secondo la quale la capitalizzazione
trimestrale della commissione di massimo scoperto non era stata contestata dal
fideiussore - a prescindere che questi fin dall'atto di opposizione ha
contestato globalmente la quantificazione degli accessori del credito ingiunto,
ed ha reiterato la stessa nell'atto di appello - comunque tale nullità è
rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 1421 cod. civ. in applicazione del
principio secondo il quale "nella controversia promossa per far valere diritti
che presuppongono la validità del contratto o di una clausola di esso, la
nullità dell'uno o dell'altra è rilevabile d'ufficio se sono acquisiti al
processo elementi idonei a porla in evidenza, in considerazione del potere -
dovere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione"
(Cass. 1340-1994; 1157-1996).
Tutte le argomentazioni innanzi esposte sono
quindi integrative della motivazione della sentenza di appello che non ha
riconosciuto la capitalizzazione trimestrale nè della suddetta commissione, nè
degli interessi passivi.
In merito infine alla pretesa validità delle
clausole anatocistiche, contenute nei contratti bancari, per effetto dell'art.
25 del DLGS 4 agosto 1999, in vigore dal 19 dicembre 1999, invocato dalla
ricorrente sull'evidente presupposto della sua natura interpretativa e perciò
retroattiva, la norma (terzo comma) è stata dichiarata incostituzionale con
sentenza 9-17 ottobre 2000 n. 425 per eccesso di delega rispetto alla legge di
delegazione del 24 febbraio 1998 n. 128. In particolare detta norma stabiliva la
validità ed efficacia "delle clausole concernenti la produzione di interessi
sugli interessi maturati contenute nei contratti anteriori all'entrata in vigore
della delibera del CICR (Comitato interministeriale per il credito e il
risparmio) - emanata il 9 febbraio 2000 - e fino a tale data - e cioè il 22
aprile 2000 - dovendosi tali clausole per il periodo successivo adeguare alle
modalità e tempi disposti) dal CICR. Ma proprio per la generica disciplina
validante e retroattiva delle clausole anatocistiche bancarie contenute
indistintamente in tutti i contratti anteriori alla predetta delibera del CICR,
non legittimata dal legislatore delegante, la Corte Costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità della predetta norma.
3. Concludendo il ricorso deve essere
rigettato. Nulla per le spese non essendosi costituito l'intimato.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così
deciso in Roma il 16 novembre 2001.